Le elezioni regionali segnano una vittoria politica del Partito Democratico e una ragione di consolidamento del governo nazionale.
Il PD si mostra capace di essere al contempo unito e plurale e dotato di una classe dirigente radicata e di cultura riformista. La prova del governo premia la qualità dei presidenti uscenti, a volte persino con numeri straordinari.
Il governo Conte ne esce politicamente più solido ma anche chiamato alla grande sfida per la ripresa dello sviluppo e del lavoro, anche attraverso l’uso lungimirante delle ingenti risorse europee.
Sul referendum, invece, rimango convinto delle ragioni del parlamentarismo e della cultura democratica liberale che mi hanno indotto a una battaglia limpida per il No.
Resto convinto che i problemi del bicameralismo perfetto e della distanza tra elettori ed eletti siano immutati. Solo separare le Camere per funzioni e approvare una legge elettorale (preferenze o collegi) che restituisca ai cittadini il potere di decidere i propri rappresentanti possono dare una risposta vera e non demagogica alle grandi questioni di legittimazione ed efficienza del sistema politico.
Ne è consapevole il nostro segretario Zingaretti, di cui ho apprezzato le dichiarazioni ove ribadisce che bisognerà dare rappresentamza alle tante buone ragioni del No.
Infine, il voto referendario ci consegna una lezione e una responsabilità.
Soprattutto al sud, il distacco, o peggio l’astio inveterato nei confronti della politica e della classe dirigente è ancora fortissimo.
Siamo tutti chiamati a rimettere al centro i bisogni reali delle persone e la buona politica come unico antidoto alla furia iconoclasta e antipolitica.