Intervento tenuto in data 13 novembre 1998 (seduta N. 436) “Seguito della discussione congiunta dei disegni di legge sulle misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo (A.C. 5267); bilancio di previsione dello Stato per il 1999 e bilancio pluriennale per il triennio 1999-2001 (A.C. 5188); nota di variazione (A.C. 5188-bis); legge finanziaria 1999 (A.C. 5266-bis) (Seguito della discussione sulle linee generali; replica del Governo).”
“GIOVANNI PITTELLA. Onorevole Presidente Giovanardi (cui rivolgo i miei auguri), signor rappresentante del Governo, onorevole relatore, onorevoli colleghi, a me preme sottolineare un dato politico, più che indagare sui mille aspetti di cui è possibile discutere in sede di esame dei disegni di legge finanziaria e di bilancio.
Questa manovra finanziaria, a mio parere, conclude un percorso e ne apre un altro: è, per così dire, una manovra di transizione, che completa uno sforzo straordinario di risanamento, condotto in modo coerente e senza ipocrisie, ed accentua gli interventi di rilancio economico e produttivo e di ripresa occupazionale. Che questa finanziaria contenga una potenzialità positiva, non solo sul versante del risanamento, è testimoniato dagli effetti redistributivi che saranno determinati e che possono essere sin d’ora quantificati: le imprese registrano un saldo positivo superiore a 10 mila miliardi, imputabile alla ridotta pressione fiscale, al minor costo del denaro e al rilancio degli investimenti; le famiglie migliorano i propri conti nell’ordine di 12 mila miliardi; lo Stato trae un beneficio nel recupero di 42 mila miliardi di indebitamento netto in tre anni; le regioni meridionali e le aree depresse si giovano di un vantaggio economico di circa 15 mila miliardi. Questi dati sono la prova provata che tanto il Governo Prodi quanto il Governo D’Alema hanno operato non solo sul versante del mero risanamento, ma hanno dedicato attenzione alle grandi sfide dell’espansione dei settori produttivi, alle fasce sociali di maggior bisogno ed alle aree territoriali più depresse. Non sfugge, tuttavia, ad un’analisi che si sforzi di essere obiettiva, che questi segni e segnali vadano rafforzati e che, dunque, sia corretto dare agli strumenti finanziari e di bilancio una caratteristica ed un significato di tramite verso una più pronunciata stagione espansiva. Gli scenari che sono innanzi a noi offrono, da questo punto di vista, rischi ed opportunità: il pericolo di una recessione economica mondiale è stato onestamente richiamato per primo dal Presidente D’Alema ed il pericolo che dopo Maastricht si rimanga a Maastricht, cioè a parametri che è stato giusto conseguire, ma che non includono in modo decisivo il tema dell’occupazione e della qualità del lavoro, è un pericolo non affatto sopito.
Condivido le opinioni espresse da Carlo De Benedetti in un’intervista pubblicata su la Repubblica qualche settimana fa in ordine alla necessità di predisporre politiche nazionali ed europee in grado di affrontare efficacemente il tema della disoccupazione, anche in un quadro recessivo. Condivido meno il richiamo quasi salvifico al cosiddetto «modello americano», ma non vi è dubbio che, dopo aver raggiunto tra i primi gli standard macroeconomici imposti dal trattato della città sul passaggio della Mosa, l’Italia deve porre nell’agenda dell’Europa la priorità del nesso tra rendita, capitale e lavoro, che sono i tre punti di snodo del processo di globalizzazione. Si tratta di costruire una nuova Maastricht, all’insegna del lavoro e dei diritti di cittadinanza per i più deboli, che rischiano di essere schiacciati dalla turbinosa velocità del mercato.
Un grande impegno, dunque, ci attende: dopo l’Europa economica va fatta l’Europa politica e sociale, ma noi (il nostro paese, il Parlamento ed il Governo) dobbiamo saper accompagnare il rafforzamento delle politiche europee con politiche nazionali coraggiose. In ragione del tempo concessomi, posso indicare solo alcune linee guida. Occorre, in primo luogo, un uso più pronunciato della leva fiscale quale motore della redistribuzione e sostegno potente al reticolo delle piccole e medie imprese, che rappresentano il vero tessuto connettivo del paese. In secondo luogo, va fatta una scelta chiaramente prioritaria in favore delle politiche volte ad innalzare la qualità della risorsa umana, che è il primo, essenziale requisito per rendere competitivo il sistema paese.
In terzo luogo, vanno allentate le reti di protezione attuali, nelle maglie assistenziali e ingiuste che ancora persistono, per scrivere un nuovo patto sociale che ponga al primo posto gli esclusi, innanzitutto i giovani, e il progresso tecnologico che sbriciola le mura del patto tra i protetti. Se la condizione per riscrivere la lista delle priorità, a mio parere, è quella di porre mano anche ad una revisione del sistema previdenziale, io sono d’accordo. Dobbiamo avere il coraggio di trasferire in scelte di Governo lo slogan felice: «meno ai padri, più ai figli».
In quarto luogo, al sud e alle aree depresse va assicurata parità infrastrutturale, formazione, istruzione e ricerca e strumenti veri di autogoverno dello sviluppo.
Il quinto punto riguarda le autonomie locali. Occorre insistere con tenacia nella costruzione di una Repubblica delle autonomie fondata sul federalismo. Bisogna rispondere ad una campagna confusionaria, che sembra far coincidere il federalismo con un aumento delle tasse: non è così. Federalismo fiscale vuol dire rapporto più stretto tra quanto si paga e quanto si riceve, tra territorio e prelievo fiscale, tra responsabilizzazione e autonomia, e non più tasse. L’obiettivo di questa finanziaria è fare un passo in avanti decisivo in questa direzione, come già si era affermato nel documento di programmazione economico-finanziaria. Per fare questo bisogna realizzare la compartecipazione di regioni e comuni al gettito dei maggiori tributi erariali, che si andrebbe ad aggiungere alle entrate proprie. Questo può portare, in una prospettiva ravvicinata, alla piena autosufficienza fiscale e finanziaria delle aree territoriali a più alto reddito; contemporaneamente, bisognerà prevedere un fondo di perequazione per redistribuire le risorse verso le aree più svantaggiate, senza però un livellamento uniforme, ma definendo un quadro differenziato.
L’aspetto complementare di questa riforma dovrebbe essere rappresentato dal pieno coinvolgimento del sistema dei poteri regionali e locali nei programmi di stabilizzazione del debito pubblico. In sostanza, le aree territoriali del centro-nord, a più alta capacità fiscale, possono ottenere giustamente autonomia fiscale e autosufficienza finanziaria, offrendo in cambio solidarietà concreta a chi è meno ricco e responsabilità nella spesa per restare in Europa.
Per approfondimenti:
Visualizza qui l’intervento dell’onorevole Pittella (Inserire collegamento al pdf “SEDUTA DI VENERDI` 13 NOVEMBRE 1998”)
Visualizza qui l’intervento del deputato Pittella (Inserire collegamento al link “https://storia.camera.it/video/19981113-aula-seduta-436#nav”)