Nel rapporto del 2019, l’Oxford committee for Famine Relief (Oxfam) afferma testualmente che “La disuguaglianza nel mondo è aumentata ovunque negli ultimi decenni”. Basta pensare che, nel 2018, 26 ultramiliardari da soli possedevano la stessa ricchezza della metà più povera del pianeta. In Italia, si osserva un fenomeno simile infatti, sempre nel 2018, il 20% dei nostri connazionali possedeva circa il 72% della ricchezza.
Il rapporto Oxfam mette anche in evidenza che la diseguaglianza economica correla con la disuguaglianza di genere, infatti gli uomini sono più ricchi (ricchezza netta >50%) verso le donne. Inoltre come ben noto esiste un divario retributivo a livello mondiale sfavore delle donne pari al 23%. In Europa, il gap si ferma al 16%, nonostante che già nel Trattato di Roma del 1957 fosse prevista la parità salariale. Per fortuna, il divario retributivo, sebbene lentamente, sta calando ma i divari sono ancora molto ampi nelle fasce di età sopra i 45 anni, per le laureate, per le donne con redditi da lavoro autonomo. Ovviamente il divario salariale contribuisce ad un basso status socioeconomico che è un fattore di rischio indipendente per la salute e la mortalità– in grado di accorciare la vita in maniera superiore all’ipertensione arteriosa e all’obesità. In altre parole, un basso status socioeconomico può farci ammalare e ridurre la nostra aspettativa di vita.
Per aumentare il ruolo sociale delle donne occorre promuovere servizi che permettano alle madri (sempre meno e sempre più tardi) di andare a lavorare in tranquillità e sicurezza e promuovere la loro formazione.
Inoltre è necessario prendere in considerazione il lavoro di cura svolto gratuitamente dalle donne in tutto il mondo. A livello mondiale, l’Oxfam ha calcolato il lavoro di cura delle donne, e se questo facesse capo ad una sola azienda, questa avrebbe un fatturato di 10.000 miliardi di dollari all’anno, ossia 43 volte quello di Apple. Il Global Gender Gap Report che di fatto fotografa, punto per punto, la disparità di genere nel mondo, mettendo a confronto i dati di 149 paesi, classifica l’Italia al 70 posto rispetto ai paesi europei solo la Grecia, Malta e Cipro fanno peggio di noi. In poche parole, dobbiamo ripensare al ruolo del caregiver.
I dati ISTAT mostrano che il 10,3% delle famiglie italiane ha almeno un componente con problemi di disabilità, e che l’80% di questi non risulta assistita dai servizi pubblici a domicilio e che oltre il 70% non si avvale di alcuna assistenza, né pubblica né a pagamento soprattutto nel meridione e nelle isole. Il ruolo di care-giver influisce negativamente sullo stato di salute essendo questo un fattore di rischio per le malattie psichiatriche e cardiovascolari essendo anche capace di modificare la risposta farmacologica. Infatti, riduce la risposta ai vaccini. Cosa non proprio premiante in era COVID-19.
Le disuguaglianze sanitarie sono emerse nella loro grande dimensione nei tassi di letalità e di mortalità del Covid-19 poiché i dati dell’ Office of National Statistics del Regno Unito ed alcuni dati degli Stati Uniti mostrano che i membri socialmente svantaggiati della popolazione muoiono in numero sproporzionatamente elevato a causa di Covid-19. Il Covid-19 ha fatto emergere anche diseguaglianze di genere essendo la letalità maggiore negli uomini specialmente se anziani rispetto alle donne.
Le disuguaglianze economiche e di genere come ha ben messo in evidenza l’epidemiologo inglese Sir Michael Marmot e le sociologhe femministe interferiscono con il livello di salute di una persona. Sono, infatti, le persone socialmente più disagiate, con una bassa istruzione, con un basso reddito quelle che si ammalano di più, poiché le condizioni di povertà e lo svantaggio sociale sono associati a una maggiore frequenza di fattori di rischio individuali, a stili di vita non salutari e ad ambienti di vita più degradati.
Il nostro paese si caratterizza per un forte divario economico e sociale tra nord e sud, e ciò, come accennato in precedenza, può avere importanti ripercussioni sulla salute. Tuttavia, ciò non viene mai considerato nella divisione del Fondo Sanitario. A questo proposito, il presidente della Regione Basilicata Marcello Pittella fece un’apposita richiesta alla Conferenza delle Regioni affinchè si affrontasse questo preciso punto. La Commissione Salute nominò un’apposita commissione, ma i lavori non giunsero a termine per l’opposizione di alcune regioni. Perciò occorre che i “decisori” adottino nuovi criteri per la divisione del fondo sanitario.
Il documento “Geographic Variations in Health Care” dell’Ocse evidenzia l’importanza del sistema sanitario per superare le diseguaglianze in sanità. Un’analisi comparativa, ad esempio, evidenzia che 11 interventi indici vengono forniti in maniera diversa in 13 paesi essendo meno praticati nelle zone rurali, nei paesi a basso reddito e con situazione socio-culturale svantaggiata. In Italia, nelle regioni settentrionali e centrali si assiste ad un numero più alto di ad esempio di rivascolarizzazione dopo infarto del miocardio rispetto al Meridione. Uno studio che ha messo a confronto la Basilicata e la Toscana mostra che i Toscani sono più rivascolarizzati dei Lucani. Quando la popolazione viene suddivisa per genere si osserva che le donne sono rivascolarizzate meno rispetto agli uomini in ambedue le regioni, quindi non vi è solo un gap geografico ma anche gap di genere, essendo il gap di genere simile nelle due regioni.
E’ evidente che è necessario considerare i cosiddetti determinanti sociali di salute e che ciò rende tutti responsabili della salute di tutti. Infatti, i decision maker, gli insegnanti, gli spazzini ecc possono giocare un ruolo chiave nel promuovere la salute. Infatti, alle basi delle diseguagliane in salute come dice Marmot niente è inevitabile ma è indispensabile creare le condizioni per cui vale la pena di vivere pienamente.
E’ ovvio che accanto alle responsabilità personali si contano anche le responsabilità politiche. E’ evidente che i fattori sociali e strutturali che influiscono sulla salute sono rimasti in secondo piano tanto che gli esperti di questi temi non figurano nelle unità di crisi mentre le disuguaglianze di salute sono poco o per nulla menzionate nei documenti strategici (es.: WHO: A coordinated global research roadmap). Tale assenza genera una cattiva sanità e una cattiva scienza e ciò produrrà molte criticità nel gestire la salute pubblica in maniera appropriata la salute pubblica come già appare in corso di questa pandemia.
La politica deve mettere la persona al centro del percorso di cura. Il cittadino e la cittadina, come già sostenuto nella carta di OTTAWA e nella nostra Costituzione, devono, infatti, essere posti nelle condizioni migliori per poter raggiungere il proprio pieno potenziale di salute. Perciò i sistemi sanitari devono basarsi sui bisogni di tutti ed essere adeguati ai progressi della medicina (ad esempio, la salute e la medicina devono smettere di essere androcentriche). L’androcentrismo ha generato, ad esempio, una grande lacuna nelle conoscenze che rende le prestazioni diagnostiche e terapeutiche poco appropriate per le donne e meno male che siamo nell’epoca della medicina sistema sanitario personalizzata che però non considera il contesto dove la persona vive.
Il SSN deve essere pronto ad accogliere i paradigmi della salute e della medicina di genere. Il sistema sanitario italiano si deve preparare a seguire una massa sempre più grande di persone anziane soprattutto donne. Perciò un sanitario italiano universale come il nostro deve trovare nuove risorse mediante l’innovazione tecnologica, farmaceutica, gestionale ed organizzativa con una più fattiva collaborazione tra sanitario e sociale. Come sarebbe stato diverso affrontare il COVID-19 con i problemi degli anziani, degli non autosufficienti se invece di seguire la politica dei bonus avessimo costruito una rete di servizi fondamentali e se il lavoro sociale fosse stato considerato una grande infrastruttura del nostro paese, un grande investimento, una grande fucina di posti di lavoro e nello stesso tempo un modo per incrementare la giustizia sociale e la sostenibilità del sistema sanitario. La Boston Foundation, partendo dalle differenze di genere, invita a praticare la salute e la medicina di genere come una innovazione che oltre a migliorare la sanità aumenta la sostenibilità del Sistema stesso.
Occorre utilizzare i finanziamenti del recovery fund:
1. per promuovere l’interazione tra il sistema della ricerca multidisciplinare, il tessuto industriale farmaceutico-biomedicale e le istituzioni pubbliche nel settore della salute. Così potremo dare un impulso concreto alla ricerca intesa nel senso più ampio possibile e all’innovazione nel nostro paese dove è presente un’industria farmaceutica ed un’industria medical devices che sono leader mondiali in molti aspetti e che contribuiscono largamente al nostro PIL.
2. Utilizzare i finanziamenti del recovery fund per ridurre le diseguaglianze territoriali portando lavoro e servizi al sud perché così facendo si riducano i fattori di rischio di malattia.