Le Linee guida (LG), secondo la definizione data nel 1992 dal Washington DC Institute of Medicine sono «raccomandazioni di comportamento clinico, prodotte attraverso un processo sistematico, allo scopo di assistere medici e pazienti nel decidere quali siano le modalità di assistenza più appropriate in specifiche circostanze cliniche». La loro elaborazione e l’accreditamento nella comunità scientifica avviene in ragione della valutazione statistico-epidemiologica degli studi in letteratura inerenti specifici topics del sapere medico. Sebbene non siano vere e proprie norme giuridiche, ossia regole di diritto positivo, ma norme di cosiddetta soft law, esse hanno un ben riconosciuto carattere persuasivo all’interno della comunità medica. Nella costruzione delle linee guida le evidenze scientifiche vengono o, per lo meno dovrebbero essere classificate secondo diversi schemi relativamente al tipo di studi effettuato e della validità metodologica adottata per condurli. Da questa classificazione scaturiscono diversi livelli di supporto alle raccomandazioni: IA meta analisi di studi randomizzati, IB studio randomizzato, II A studi controllati, II B studio sperimentale, III studi non sperimentali, IV comitato di esperti. Negli ultimi decenni, il numero di Linee Guida prodotte è aumentato in maniera esponenziale, tanto che medici, pazienti ed altri stakeholder devono spesso destreggiarsi tra numerose LG di variabile qualità, talvolta anche discordanti. Considerato che le LG rappresentano la sintesi delle conoscenze scientifiche per definire standard assistenziali con cui valutare le performances di professionisti e organizzazioni sanitarie che possono avere un ruolo nel contenzioso medico-legale e che i loro potenziali benefici sono proporzionali alla loro qualità, è indispensabile disporre di strumenti di valutazione standardizzati, applicabili, riproducibili, validi scientificamente (cfr. M. Bona, G. Iadecola, La responsabilità dei medici e delle strutture sanitarie. Profili penali e civili, 2009 Milano, Giuffrè Editore, p. 81). In tal senso già nel 2004 il Manuale metodologico del Piano Nazionale delle Linee guida prevedeva degli standard qualitativi nella definizione delle raccomandazioni che si riportano in basso: 1. Una linea guida per la pratica clinica dovrebbe basarsi sulle migliori prove scientifiche disponibili e includere una dichiarazione esplicita sulla qualità delle informazioni utilizzate (Levels of evidence) e importanza/rilevanza/fattibilità/priorità della loro implementazione (Strenght of recommendation). 2. Il metodo usato per sintetizzare le informazioni deve essere quello delle revisioni sistematiche (da aggiornare se già disponibili o da avviare ex novo se non disponibili) o dell’aggiornamento di linee guida basate su prove di efficacia già prodotte da altri gruppi o agenzie. 3. Il processo di sviluppo di una linea guida deve essere multidisciplinare e dovrebbe includere anche rappresentanti dei cittadini/pazienti. Il coinvolgimento multidisciplinare di tutti gli operatori sanitari, di esperti metodologi e di cittadini/pazienti migliora la qualità delle linee guida, poiché la condivisione favorisce la sua adozione nella pratica. 4. Una linea guida dovrebbe esplicitare le alternative di trattamento e i loro effetti sugli esiti. 5. Una linea guida dovrebbe essere flessibile e adattabile alle mutevoli condizioni locali. Dovrebbe includere le prove relative a differenti popolazioni target e diversi contesti geografici e clinici, considerare i costi e prevedere gli aggiustamenti a differenti sistemi di valori e preferenze dei pazienti. 6. Nel produrre una linea guida dovrebbero essere esplicitati i possibili indicatori di monitoraggio utili a valutarne l’effettiva applicazione. 7. Una linea guida dovrebbe essere aggiornata con regolarità per evitare che le raccomandazioni divengano obsolete. 8. Una linea guida dovrebbe essere chiara, dotata di una struttura semplice e di un linguaggio comprensibile, esplicitando in modo inequivocabile i punti ritenuti fondamentali e le aree di incertezza.
Per quanto attiene alle buone pratiche, si fa presente come manchi, in letteratura, una definizione condivisa. In maniera generica si possono individuare nelle buone pratiche le regole prasseologiche fondate sulla letteratura scientifica (G. Montanari Vergallo, Le buone pratiche clinico-assistenziali nella legge 8 marzo 2017, n. 24 in Responsabilità medica 2017 n. 2, pp. 271-279). La letteratura internazionale traduce tale termine in diversi modi: si va dalle Good clinical practice (la buona pratica clinica «è uno standard internazionale di etica e qualità scientifica per progettare, condurre, registrare e relazionare gli studi clinici che coinvolgono essere umani» – D.M. 15 luglio 1997), nel caso delle sperimentazioni, alle check list o alla patient safety practice, nel caso dell’attività medico-chirurgica. Vero è che, come sottolineato da alcuni autori (L. Benci, D. Rodriguez, Le linee guida e le buone pratiche in Aa.Vv., Sicurezza delle cure e Responsabilità Sanitaria, Edizioni Quotidiano sanità, Roma, marzo 2017, p. 70 e ss.) le buone pratiche si sono affermate nel tempo come «pratiche per la sicurezza» e, pertanto, all’interno di esse andrebbero inserite anche le Raccomandazioni inerenti la sicurezza dei pazienti pubblicate nel tempo dal Ministero della Salute. Tuttavia, il legislatore non precisa a quali ambiti ci si debba riferire nel considerarle quali parametro del comportamento corretto del professionista, lasciando alla valutazione dei singoli casi l’individuazione della buona pratica di confronto, aspetto, quest’ultimo, che potrebbe generare diverse discrepanze tra i consulenti chiamati a valutare un determinato caso.
Diverso ancora è il ruolo dei percorsi clinico assistenziali. Questi ultimi permettono di valutare l’adeguatezza delle attività svolte rispetto agli obiettivi, l’appropriatezza degli interventi rispetto alle linee guida di riferimento ed alle risorse disponibili. Inoltre, consentono la misurazione delle attività e degli esiti raggiunti, al fine di migliorare l’efficacia e l’efficienza delle prestazioni assistenziali soprattutto a livello delle realtà locali (regioni, aziende sanitarie). In termini pratici si può affermare che la linea guida definisce: che cosa si deve fare mentre il percorso assistenziale definisce: How (come fare): procedure; Who (chi lo fa): professionisti; Where (dove lo fa): setting; When (quando lo fa): tempistiche.
La legge n. 24 del 2017 (c.d. legge Gelli – Bianco), entrata in vigore il 1° aprile 2017, all’articolo 5 prevede che tutti gli operatori sanitari si attengano, nello svolgimento della loro opera, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate e, in mancanza di queste ultime, alle buone pratiche clinico assistenziali. E’ stato giustamente osservato (G. Montanari Vergallo, op. cit.) che tale articolo pone un obbligo di carattere generale collocandosi a monte della disciplina penalistica (art. 6) e di quella civilistica (art. 7), presentando rilevanza in entrambi i rami dell’ordinamento. Inoltre, all’articolo 6 si prevede, in relazione alla responsabilità per morte o lesioni personali in ambito sanitario che “qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge[1] ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.
Ciò ha importanti implicazioni nel lavoro del consulente tecnico. L’utilizzo delle linee guida quale parametro valutativo della condotta professionale medica, infatti, ha alcuni vantaggi (cfr S. Bologna, Lo statuto penale della colpa medica dopo la legge Gelli-Bianco: La Corte di cassazione prova a rimediare alla «imperizia» del legislatore. Diritto e processo penale, 22 luglio 2017): – oggettivizzare il sapere medico e, quindi, diminuire il rischio di errore derivante dal fatto che in molti casi il medico si trova ad operare in situazioni di emergenza; risolvere il problema dell’accesso «al» e dell’eccesso «del» sapere scientifico, aiutando il medico sulla strada sempre più impegnativa del costante aggiornamento; tendere all’uniformazione delle prassi mediche assottigliando le disuguaglianze nella distribuzione di servizi e prestazioni; contribuire a traghettare il rapporto medico-paziente ad un rapporto più trasparente, che favorisce la c.d. «alleanza terapeutica» tra medico e paziente. Di contro, esistono una serie di svantaggi così riassumibili (v. S. Bologna, op. cit.): assenza di personalizzazione nell’approccio al singolo paziente, di globalità di questo e di criticità; rischio di inerzia informativa e formativa per la classe medico-odontoiatrica; limitazione della autonomia decisionale del professionista sanitario; restrizione del pensiero medico logico-deduttivo; rischio di strumentalizzazione per accuse di condotta colposa (dolosa!) nell’ipotesi di loro mancato rispetto; rischio di evocazione di colpa specifica in ambito penale; rischio di responsabilità professionale nell’esclusivo affidamento ad esse. Per quanto attiene alle c.d. buone pratiche si ritiene in accordo con Benci, Rodriguez (op. cit., p. 72), che tale espressione vada considerata in senso estensivo: «da un lato comprendente le prassi professionali orientate sulla tutela della salute, basate su prove di evidenza scientifica, e dall’altro comprendente documenti, purché coerenti con le evidenze scientifiche ed elaborati con metodologia dichiarata e ricostruibile».
Inoltre, se si tiene conto che la giurisprudenza di merito precedente all’emanazione della Legge Gelli-Bianco aveva più volte chiarito che le Linee guida potevano rappresentare uno strumento utile di accertamento ma non l’unico ed esclusivo (cfr. Cass. Pen. Sez. IV n. 18430 e succ.), dovendo sempre considerarsi la peculiarità del caso concreto, le Sezioni Unite si sono trovate a dover riflettere sul quid novi apportato dalla evoluzione normativa in particolare in relazione alla non punibilità dell’imperizia ai sensi dell’art. 6 della Legge 24/17 ed hanno in qualche modo ridisegnato l’interpretazione della responsabilità penale del professionista sanitario offrendo importanti argomenti di riflessione che senza dubbio riguardano anche il lavoro del consulente tecnico. Infatti viene asserito che “L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica:
- a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;
- b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia: 1) nell’ipotesi di errore rimproverabile nell’esecuzione dell’atto medico quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o, in mancanza, dalle buone pratiche clinico-assistenziali; 2) nell’ipotesi di errore rimproverabile nella individuazione e nella scelta di linee guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto, fermo restando l’obbligo del medico di disapplicarle quando la specificità del caso renda necessario lo scostamento da esse;
- c) se l’evento si è verificato per colpa (soltanto “grave”) da imperizia nell’ipotesi di errore rimproverabile nell’esecuzione, quando il medico, in detta fase, abbia comunque scelto e rispettato le linee-guida o, in mancanza, le buone pratiche che risultano adeguate o adattate al caso concreto, tenuto conto altresì del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico”.
Pertanto, non basta dimostrare di aver adottato una raccomandazione che si qualifica come Linea Guida o Buona Pratica, in relazione all’imperizia, ma bisogna dimostrare di averla ben applicata.
La Legge n. 24/2017, all’art. 15, “Nomina dei consulenti tecnici d’ufficio e dei periti nei giudizi di responsabilità sanitaria”, riforma la disciplina sulla nomina dei CTU (consulenti tecnici d’ufficio) in ambito civile e dei periti in ambito penale; tali modifiche appaiono di particolare rilievo, costituendo le perizie i cardini del giudizio nell’ambito del contenzioso e dei giudizi sanitari. Sono, in particolare, rafforzate le procedure di verifica delle competenze e resi trasparenti i possibili conflitti d’interesse rendendo di fatto disponibili al giudice tutti gli albi presenti a livello nazionale, da aggiornare ogni 5 anni.
E’ previsto, in particolare:
- che l’autorità giudiziaria debba affidare sempre la consulenza e la perizia a un collegio costituito da un medico specializzato in medicina legale e ad uno o più specialisti aventi specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento;
- che i CTU da nominare nel tentativo di conciliazione obbligatoria (di cui all’articolo 8, comma 1), siano in possesso di adeguate competenze nell’ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi;
- in sede di revisione degli albi è indicata, relativamente a ciascuno degli esperti di cui al periodo precedente, l’esperienza professionale maturata, con particolare riferimento al numero e alla tipologia degli incarichi conferiti e di quelli revocati;
• nei casi di cui al comma 1, l’incarico è conferito al collegio e, nella determinazione del compenso globale, non si applica l’aumento del 40% per ciascuno degli altri componenti del collegio previsto dall’articolo 53 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.
Numerosi potrebbero essere gli interrogativi ed i quesiti.
Ad esempio, deve essere il Giudice a formare il Collegio o demandare al medico legale tale compito?
Quanti specialisti di chiara fama, con competenze specifiche maturate sul campo e documentate scientificamente, saranno disposti ad accettare incarichi per i quali saranno oggetto di critiche da parte dei Colleghi della stessa branca e, soprattutto, saranno remunerati con misere cifre?
Inoltre, è possibile, alla luce delle problematiche scientifiche e delle interpretazioni giurisprudenziali recenti, un corretto utilizzo delle Linee Guida nell’ambito della consulenza tecnica? In che modo?
Ricordando che la consulenza tecnica è un momento processuale che, tramite una metodologia rigorosa, mira a ricostruire i fatti e studiando la condotta del professionista, l’evento conseguito ad essa e l’eventuale nesso di causa esistente, si ritiene utile riportare quanto Fineschi et. al hanno proposto in merito al concreto utilizzo delle linee guida nella consulenza tecnica (cfr. Gelli-Hazan-Zorzi: La nuova responsabilità sanitaria e la sua assicurazione. Giuffré 2017): fornire un quadro trasparente e chiaro per la valutazione delle evidenze; aiutare in una determinazione causale dell’evento; offrire un approccio coerente e standardizzato di valutazione diagnostica; aiutare a individuare le ipotesi discrezionali nelle azioni valutative risultando così di pratica ed oggettiva utilità per il sanitario che le adotta.
In altre parole, se è vero che la Legge Gelli-Bianco, con tutte le interpretazioni giurisprudenziali, pone l’utilizzo delle Linee Guida al centro dell’attività del consulente tecnico o del perito, è pur vero che tale uso andrà intelligentemente commisurato alle esigenze probatorie del caso concreto. Non basterà semplicemente allegare la raccomandazione ma individuare nell’attività del professionista, alla luce della documentazione disponibile, gli elementi che provano l’aderenza agli standard delle Linee Guida, e ciò soprattutto in relazione alla presunta responsabilità penale per imperizia.
In conclusione, la nuova legge sulla responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie pone al centro le Raccomandazioni pubblicate sul SNLG nella valutazione della presunta malpractice medica. Il consulente tecnico, in entrambi i rami del diritto, sarà tenuto a misurare il peso delle evidenze sulla base di tali documenti; tuttavia, come precisato nello stesso testo di legge, tutto andrà commisurato alla specificità del caso concreto. Il tempo dirà se tale approccio metodologico si rivelerà come un semplice binario per chi valuta (e, in fin dei conti per lo stesso professionista valutato) o una catena da cui difficilmente ci si potrà liberare (v. Commentario alla legge 8 marzo 2017, n. 24, a cura di B. Meoli, S. Sica e P. Stanzione, ‘Art. 5 Buone pratiche clinico-assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida’, di Antonello Crisci, ESI ed., 2018).
[1] Pubblicazione sul portale web del Sistema Nazionale Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità. Tale portale è entrato in funzione ad Aprile 2018 e verrà implementato con le raccomandazioni provenienti dalle Società Scientifiche accreditate.
Prof. Antonello Crisci, Associato di Medicina legale – Università di Salerno – (ci ha lasciati da qualche tempo)