Questa domenica per “Le Grandi Interviste” ho intervistato il Dj e produttore Sergio Cerruti da due anni Presidente di Afi (Associazione Fonografici Italiani) e impegnato in prima persona nel campo dello spettacolo e dalla musica. Prima di entrare nel vivo dell’intervista una mini bio del Pres. Cerruti. Buona lettura!
Sergio Cerruti, 45enne romano, è un dj e produttore al timone dell’associazione confindustriale delle Pmi della musica. Sergio capo dell’etichetta indipendente Just Entertainment. Dal 2018 è il Presidente dell’AFI, l’Associazione Fonografici Italiani, già investito delle cariche di consigliere e vice presidente nel corso del precedente mandato, Cerruti è il più giovane presidente mai chiamato a guidare l’istituto che rappresenta la piccola e media impresa discografica nel nostro Paese.
Presidente, cosa significa guidare un’Associazione come AFI che ha alle spalle una lunghissima tradizione?
È chiaramente un grande onore, ma soprattutto una grande responsabilità presiedere l’AFI, storica associazione nata nel 1948 con lo scopo di rappresentare il movimento musicale nei principali eventi italiani e all’estero, caratterizzata dalla centralità del proprio ruolo a difesa della cultura musicale italiana. Nei suoi 70 anni di vita, l’associazione ha sempre dimostrato il massimo impegno nella promozione del mercato della musica italiana indipendente e nel garantire un’adeguata protezione contro ogni forma di violazione in tema di diritti.
Un impegno, questo, che cerchiamo quotidianamente di mantenere e rinnovare grazie all’introduzione di nuove idee e iniziative sia in ambito nazionale che internazionale. In questi anni abbiamo promosso accordi, non solo in Italia, ma anche all’estero e abbiamo valorizzato al massimo i nostri cataloghi sui mercati internazionali, è una sfida che ci poniamo anche per i prossimi anni.
Un aspetto da non sottovalutare è quello di essere il più giovane Presidente nella storia di AFI: se alla guida oggi c’è una generazione diversa, forse l’esigenza è quella di trovare in nuovi manager il futuro di questa associazione.
La crisi sanitaria da Covid-19 ha avuto drammatiche conseguenze sulla maggior parte dei comparti dell’economia italiana. Come sta reagendo l’industria musicale nel suo complesso?
Per la musica non si può parlare di ripartenza. Durante il lockdown le uscite di nuovi album, senza i tour e con le radio in crisi a causa del brusco calo delle inserzioni pubblicitarie, sono state in molti casi bloccate. Gli studi di registrazione si sono svuotati e faticano a restare aperti, le vendite di cd e vinili sono calate del 70%. Purtroppo il digitale, da solo, non è stato in grado di compensare la curva in discesa.
Ma anche adesso lo scenario non è dei più rosei. Le nostre istanze incarnano le esigenze concrete di tanti produttori e di numerose piccole e medie imprese che investono direttamente le proprie risorse su prodotti culturali: l’intero comparto ha bisogno di provvedimenti rapidi e mirati.
Il Recovery Fund è indubbiamente una grande opportunità per il nostro Paese: quali sono le iniziative che a suo avviso dovrebbero essere introdotte per assicurare alla cultura un ruolo centrale nell’utilizzo delle risorse?
La cultura è un’industria e come tale ha bisogno di essere percepita. Ora più che mai è necessario programmare investimenti per il nostro comparto. I fonografici, e quindi i produttori, sono imprese, soggetti che investono il loro capitale in Italia su prodotti culturali. Nella pianificazione dello stanziamento dei fondi del Recovery Fund, cultura e intrattenimento dovrebbero avere pari dignità rispetto agli altri settori.
Siamo evidentemente rappresentativi di un grande patrimonio culturale, così come recentemente sottolineato dal Commissario europeo Paolo Gentiloni. A tal proposito, la comunità europea ha un fitto programma di interventi a supporto della cultura, ma con l’evidente limite di non poter intervenire nelle politiche locali di ogni singolo Paese.
Questo crea una disparità di trattamento e d’intervento, nella cultura in generale e nella verticalizzazione della musica. Basti pensare che in Francia e Inghilterra gli investimenti sulla filiera della cultura e dell’intrattenimento sono stati pari rispettivamente a 2 miliardi di euro e un miliardo e a 450 milioni di sterline, mentre in Italia gli interventi sono davvero stati pochi.
Ci aspettiamo quindi un ingente sostegno verso un patrimonio che ci rende famosi in tutto il mondo e che dovremmo difendere con forza. Oltre a un aiuto concreto da parte del nostro Governo, auspichiamo altresì che i progetti per un’Europa più inclusiva riconoscano tale comparto come parte dell’identità Europea.
Il futuro è ancora incerto: qualora il numero dei contagi dovesse continuare a salire, nuove misure restrittive potrebbero rendersi necessarie, con inevitabili conseguenze sul settore dello spettacolo e della musica. Cosa si aspetta dai prossimi mesi?
Questo momento storico, particolarmente difficile, ci offre comunque una considerazione: in qualsiasi direzione stiamo andando non sarà mai il punto da dove siamo partiti. Bisogna rilevare il ritardo dello sviluppo e sfruttamento dei contenuti quale può essere la musica, ma anche il ritardo con cui alcune piattaforme di streaming si sono introdotte in Italia.
L’agenda digitale del Paese è rimasta indietro, basti pensare che in questo momento è difficile garantire lo smart working nelle aree più remote del Paese, lo stesso vale per le infrastrutture. Per lungo tempo l’Italia non è stata in grado di leggere correttamente i segnali dell’economia internazionale e di interpretare stili, modi e trend del futuro. Noi abbiamo a disposizione già tutta una serie di progetti pronti per essere realizzati, ma è necessario avere certezze di lungo periodo: fare impresa non può essere un’impresa.
Per quanto riguarda il settore dello spettacolo e della musica siamo giunti al paradosso che le risorse vengono valorizzate più all’estero che in Italia, nonostante la nostra secolare tradizione.
Parliamo un po’ di lei, da produttore quali sono gli obiettivi per il prossimo futuro? Ma soprattutto ha qualche consiglio per un giovane che si sta affacciando sul settore? Quali sono le nuove frontiere?
Io sono un produttore e quindi ho un’indole che va mediata con la carica politica. Sono un grande sostenitore della politica che trasforma in economia reale le proprie iniziative. L’obiettivo non è avere la forza di cambiare tutto in fretta, ma quello di essere il motore di un processo che possa portare al cambiamento. Il produttore persegue l’efficienza e l’attività di produzione è come una grande orchestra, dove tutti i componenti perseguono il medesimo scopo guidati dal direttore, che ha scritto il progetto e ne cura l’esecuzione.
Per quanto riguarda i giovani, sono l’ennesima occasione che non possiamo mancare. Sono l’ipoteca del nostro futuro. Io ho una personale propensione al supporto dei giovani, lo faccio nelle mie attività produttive e formative, poiché credo negli investimenti e nell’incubazione.
Ai giovani se da un lato potrei suggerire di andare all’estero perché con tutta questa incertezza rischiano di rimanere nelle sabbie mobili, dall’altro sono un positivo e ottimista e chiedo loro di resistere in Italia per avere la forza di voltare pagina e trovare insieme la strada che ci meritiamo.
Sanremo: è ancora l’appuntamento più importante e atteso del panorama musicale italiano? Come immagina un Sanremo ai tempi del Covid?
Da tempo il mondo musicale si chiede se Sanremo sia l’occasione più importante. Sicuramente come occasione è rimasta l’unica, ma sappiamo tutti che si è trasformata in una grande occasione di spettacolo televisivo con l’alibi del Festival della musica. In tempo di Covid temo che mancherà molto quel clima festoso e di raduno attorno alla Tv di amici e famiglia per dare giudizi su canzoni, abbigliamento e trucco dei tanti partecipanti alla più lunga maratona di spettacolo.
Forse stare fermi un giro come deciso per Olimpiadi, Europei di calcio e tante altre manifestazioni che hanno nella partecipazione e la presenza del pubblico la componente essenziale, sarebbe una saggia decisione. Sono convinto che la pausa ne accrescerebbe l’interesse per il futuro e forse permetterebbe di rivedere meccanismi di spettacolo che nel tempo prima o poi dimostreranno qualche lacuna per la ripetitività e la ricerca ossessiva di quel record di ascolti che di anno in anno è sempre più termine di paragone e sempre meno stimolo di creatività.