Questa domenica per “Le Grandi Interviste” ho avuto il piacere d’intervistare il direttore generale Roberto Calugi di Federazione Italiana Pubblici Esercizi (FiPE) con oltre centoventimila associati nel settore della ristorazione e dell’intrattenimento. Buona lettura!
Buongiorno direttore, cosa rappresenta la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi?
Buongiorno a voi. La Federazione è la principale associazione di categoria che rappresenta il settore della ristorazione e dell’intrattenimento. Abbiamo oltre 120.000 soci fra attività di ristorazione, dalla classica trattoria di campagna ai ristoranti stellati, dal bar di provincia alle grandi catene commerciali, insieme ai pub, alle pizzerie, alle aziende di catering, alle attività legate alle mense. A queste imprese si aggiungono anche le realtà legate all’intrattenimento come le discoteche o le sale giochi, come i Bingo, e gli stabilimenti balneari. Aderiamo a Confcommercio imprese per l’Italia, gli uffici nazionali sono a Roma, ma siamo presenti in oltre cento sedi territoriali sparsi in tutta Italia, dal profondo sud all’estremo nord.
Una realtà complessa quindi, credo particolarmente colpita dalla pandemia.
Un settore letteralmente messo in ginocchio dai riflessi economici conseguenti alle restrizioni imposte dalla pandemia. Solo nel 2020 hanno chiuso, dati Istat, oltre 22.000 imprese e 250.000 posti di lavoro sono andati persi. E i primi mesi del 2021 non sono stati certamente migliori, viste le chiusure che si sono protratte fino al 26 aprile ultimo scorso. Per comprendere la portata del crollo, la sola ristorazione fatturata nel 2019 circa 90 miliardi di €, la pandemia ha generato la perdita in media del 40%, per oltre 38 miliardi di €. Questi sono dati medi, nelle città d’arte le perdite, a causa del combinato disposto dell’assenza di turismo e della perdita dei clienti a casa per lo smart working, i ristoranti e i bar hanno visto crollare il loro giro di affari oltre l’80%. Questo per non citare comparti come le discoteche o le società di catering, di fatto ininterrottamente chiusi da fine febbraio 2020 ad oggi.
Come si affronta la rappresentanza in un contesto così grave?
Con serietà e competenza. Continuo a pensare che le associazioni si costruiscono in momenti di pace, anche per essere pronte ad operare in periodi così complicati. Sono stati certamente mesi molto difficili. Da subito il nostro primo obiettivo è stato quello di muoversi lungo tre direttrici, comprendere l’evoluzione degli eventi, tradurli in un’informazione accessibile e per quanto possibile chiara agli associati e far emergere, oltre alle proteste, delle proposte sostenibili dagli interlocutori politici.
Grazie alla volontà degli amministratori della Federazione, Fipe ha, soprattutto nei primi mesi della crisi, aperto la propria assistenza a tutte le imprese del settore, mettendo a disposizione una mole imponente di informazione al fine di orientare un settore letteralmente allo sbando. Questo ha imposto un miglior utilizzo degli strumenti social e il ricorso a modalità di comunicazione e di linguaggio differenti rispetto al passato e maggiormente accessibile anche ad un’utenza non tecnica.
Contemporaneamente si è lavorato su ogni dispositivo normativo, entrando nel merito delle proposte contenute, analizzandole nel dettaglio, costruendo strumenti di comparazione, elaborando proposte emendative concrete e sostenibili portate all’attenzione del Parlamento in decine di audizioni e incontri con forze di maggioranza e di opposizione. In poche parole abbiamo preferito lavorare nell’interesse dei soci per farci ascoltare dai decisori politici, più che farci vedere dai media.
Quale è stato il passaggio più complesso da far comprendere alla politica?
La ringrazio per questa domanda. Questo comparto sconta perlomeno due criticità nell’interlocuzione politica. Il primo è che è dato per “scontato”. Nel nostro Paese si mangia bene più o meno ovunque e il bello ed il buono sono parte integrante della nostra vita. Prima della pandemia si sottovalutava l’importanza di questo comparto economico in termini occupazionali e di contributo al Prodotto Interno Lordo non solo per il comparto rappresentato ma anche per la filiera agroalimentare e per quella turistica. Si pensi ad esempio ai danni che la chiusura della ristorazione ha generato per la vendita di prodotti enologici.
La seconda criticità riguarda la moltitudine di competenze che insistono sul comparto dai vari ministeri. Il Mise è il dicastero di riferimento, ma a questo vanno aggiunte altre e variegate competenze, dal Ministero della Salute a quello degli Interni, dal Mibact al Mipaaf ed altri. La conseguenza è che talvolta le esigenze di questo settore richiedono la concertazione di una moltitudine di interlocutori rendendo la genesi degli interventi di supporto ancora più complessa.
Quale è stato l’intervento di sostegno economico che avete chiesto con maggiore forza?
Visti i numeri della crisi abbiamo chiesto di intervenire per permettere per quanto possibile di diminuire i costi delle imprese. Oltre agli ammortizzatori sociali e ai vari contributi a fondo perduto, un intervento fondamentale, di cui ringrazio anche i Senatori Pittella e Manca per l’ascolto e il supporto, ha riguardato i canoni di locazione che nel periodo delle restrizioni, soprattutto nei centri storici delle grandi città, hanno raggiunto un’incidenza insostenibile per le attività di ristorazione, arrivando a pesare anche oltre il 30% del fatturato. Detto questo il “ristoro” più efficace, l’unico che permette una reale sopravvivenza delle imprese e della dignità di essere imprenditori, è la possibilità di tornare a lavorare, in sicurezza certo, ma a lavorare per non richiudere più.
Avesse la bacchetta magica cosa chiederebbe per il “post Covid”?
Non servono magie, serve un’azione legislativa coerente per un settore da troppi anni lasciato a logiche emendative senza una vera visione di insieme. Un comparto importante per la nostra economia e per la nostra salute, lasciato senza alcuna seria barriera all’ingresso che ne possa garantire uno sviluppo strutturale, senza snaturare quel patrimonio di cultura e legame con il territorio che caratterizza la ristorazione italiana. Nessuno pensa al ritorno del sistema delle licenze, sarebbe anacronistico e per molti versi sbagliato, ma va riportato il valore della produzione nel comparto e premiata la qualità dell’offerta. E’ necessario un riordino della legislazione che riguardi tutti coloro che danno da mangiare in questo Paese, introducendo minimi requisiti patrimoniali, formazione continua sia per il personale che per gli imprenditori, lavorando anche sulle competenze manageriali di chi comunque gestisce imprese complesse. Vanno tutelate le realtà storiche e familiari, sostenendole verso una realtà che vede sempre di più il digitale protagonista. Certamente il PNRR è un’occasione unica per recuperare il tempo perduto e nei prossimi anni continueremo a lavorare duramente per far si che questa eccellenza, tutta italiana, possa contribuire sempre di più al rilancio economico e al posizionamento turistico del nostro Paese .