Questa settimana per “Le Grandi Interviste” ho avuto il piacere d’intervistare il sindacalista Enzo Mattina prima di entrare nel vivo dell’intervista una introduzione con mini bio. Buona lettura!
Ciao Enzo, noi ci conosciamo da troppi anni per non darci del tu; grazie per questa intervista e buon primo maggio! Tu sei stato un sindacalista autorevole della UIL, hai diretto la epica categoria dei metalmeccanici, prima di diventare un autorevole politico, europarlamentare e deputato nazionale.
Ha un senso ancora festeggiare il primo maggio?
Quella del primo maggio è una ricorrenza con un valore storico che dovrebbe sempre essere proiettata verso orizzonti lontani, quali si manifestano nel breve –medio tempo e s’intravedono nel lunghissimo tempo. Il senso del festeggiamento è nella consapevolezza che il lavoro è un fenomeno permanentemente dinamico; le conquiste di ieri a tutela del lavoro vanno rinnovate ogni giorno per far fronte ai cambiamenti che le investono (tecnologiche, organizzative, economiche, democratiche ecc.).
Ma i temi del lavoro di oggi non sono quelli di ieri; cosa è cambiato nel mondo del lavoro? è sufficiente difendere i diritti degli occupati, trascurando i precari, i disoccupati, le partite iva?
I contenuti del lavoro cambiano più velocemente che non si creda. Alla fine dell’800 e per buona parte del 900 la quota prevalente dei lavoratori dipendenti era occupata nell’agricoltura; poi iniziò, già dalla seconda metà del 700 l’industrializzazione che si concentrò nelle periferie delle grandi città; poi a fine 800 cambiarono i mezzi di trasporto per terra, per mare e anche per aria. Poi dalla fine della 2° guerra mondiale, abbiamo avuto la rivoluzione informatica e delle telecomunicazioni. Su di essa si è innescata la rivoluzione digitale, quella dei telefonini, dei computer, della robotica evoluta, delle macchine a controllo numerico, della finanziarizzazione dell’economia e chi ne ha più ne metta.
Un po’ per pigrizia in po’ per la difficoltà di capire tutte le implicazioni insite nella mole infinita dei cambiamenti, tendiamo ad assumere un atteggiamento difensivo o, peggio ancora, semplificatorio. Quando il più ricco percettore del reddito di cittadinanza in Italia e nel mondo, l’on. Di Maio, annunciò dal balcone di palazzo Chigi che aveva abolito la miseria, ridimensionando il ricorso al lavoro a tempo determinato, rimasi sconvolto per la pochezza della conoscenza e per la inconsistenza delle proposte.
La IV rivoluzione industriale è in atto da qualche lustro e in materia di lavoro si rende necessario un riesame di molti aspetti della condizione di lavoro per tener conto dei cambiamenti. Nella tutela dei lavoratori dipendenti vi è la ragion d’essere della nascita, negli ultimi decenni del 1800, dei partiti socialisti in Italia e in Europa e della collegata fioritura delle Organizzazioni sindacali. E’ sempre al medesimo movimento politico che si debbono, dagli anni 60 in avanti, le grandi riforme quali lo statuto dei lavoratori, la sanità pubblica, il sistema di welfare in genere, il divorzio (la donna comincia a recuperare la sua autonomia culturale, ergo lavorativa).
Oggi ci sono le grandi sfide di conciliare il sapere con il saper fare, la disponibilità al cambiamento con il diritto primario dell’accesso al sapere e all’acquisizione di nuove competenze. Insomma la sfida è mettere insieme un nuovo sistema di protezione del lavoro per tutto il corso della vita, rendendo meno assorbente la durata dei rapporti. Una stagione di nuova regolamentazione passa poco per le leggi e molto per la contrattazione.
Ricorda la battaglia più toccante ed emozionante del suo passato sindacale?
La più emozionante per i risultati raggiunti e il rapporto di straordinaria empatia con i lavoratori metalmeccanici delle fabbriche, nel mio caso quelli napoletani, fu la chiusura del contratto del 1969. La pagina a forte impatto emotivo fu quella della chiusura della vertenza FIAT del 1980; non c’erano le condizioni per impedire totalmente le scelte della FIAT, ma avremmo potuto contenerle, se la nostra capacità di direzione della lotta non fosse stata resa incerta e inefficace a causa delle intemerate di Enrico Berlinguer ai cancelli della Fiat e al comizio di chiusura della festa dell’Unità a Bologna. Ritornerò su questi temi; al momento posso solo dire che, se un personaggio e un partito autorevoli fanno da sponda alle frange antagoniste in momento di forte tensione sociale, è nelle cose che lo sforzo riformista della dialettica sindacale perda buona parte della sua energia.
Come andò sulla Scala Mobile?
Sono stato un fautore di quella riforma, ma ero già fuori dal sindacato e ho potuto agire come cittadino e militante politico.
Cosa pensa dei leaders sindacali di oggi?
Nulla da dire sulle persone. Non comprendo perché non si dedicano con più impegno a costruire un sindacalismo per la IV e per la prossima rivoluzione industriale; mi sembra che spesso propendano alla museificazione del passato.
Cosa dovrebbe fare una classe dirigente lungimirante, secondo te, per fare tesoro della terribile pandemia Covid e disegnare e costruire un mondo migliore?
Posso elencare degli obiettivi: 1. ricostruire la scuola nel suo rapporto con il bello e il brutto del tempo che viviamo, 2. ricostruire il capitale sociale, a fronte di questa pandemia che si è accanita su una condizione già di per sé critica, 3. Impedire la costante e crescente concentrazione della ricchezza per dar vita a un sistema distributivo più equo a livello mondo, 4. Riprendere con coraggio il progetto dell’Europa Federata, anche a costo di far ricorso alle soluzioni già previste dai trattati di cooperazione rafforzata.