Chi non ricorda la bellissima canzone di Massimo Ranieri … Canzonissima 1970…
Con un po’ di fantasia anche la moneta che portiamo nelle nostre tasche potrebbe intonare le note di quella canzone.
Vent’anni fa entrava in circolazione l’euro.
È quindi una buona occasione per fare il bilancio di quello che l’euro ha consentito di realizzare finora e di guardare avanti al futuro della nostra moneta unica.
Tra i fattori che spinsero per la moneta comune si possono individuare innanzitutto le pressioni dei gruppi industriali, specie quelli transfrontalieri, che avrebbero beneficiato dall’annullamento completo dei costi legati ai cambi, quali tasse e incertezze dovute alla volatilità. Gli interessi nazionali sono stati altrettanto cruciali, con Francia e Germania che si sono accordate per l’europeizzazione di una moneta simile al Marco in cambio della riunificazione tedesca, i paesi del Nord Europa che puntavano a un accesso migliore ai mercati mediterranei e i paesi del Sud che miravano alla riduzione dell’inflazione e dei tassi d’interesse sul debito pubblico. Anche le idee dei protagonisti di quella fase storica sono state rilevanti: da un lato la scuola monetarista, all’epoca molto influente, ha facilitato l’aggregazione della politica monetaria a livello sovranazionale, dall’altro il federalismo, teoria politica di riferimento per personalità come Jacques Delors e Tommaso Padoa Schioppa, ha ispirato con la prospettiva futura dell’unità politica questo grande passaggio dell’integrazione europea.
L’Italia ha molto beneficiato dall’introduzione dell’euro. Accettando l’ingresso nella moneta comune, è entrata a pieno titolo nel processo decisionale delle politiche monetarie della BCE, quale terzo paese della zona euro dopo Germania e Francia. Con la cessione della sovranità monetaria si è inoltre definitivamente interrotto il circolo vizioso delle svalutazioni competitive e il paese è stato posto al riparo dalle operazioni di speculazione finanziaria sulle valute, come quella avvenuta nel 1992 a danno della lira e della sterlina. Ai benefici si aggiungono quelli derivanti dal ruolo internazionale dell’euro, come dimostrato dal rapporto della BCE del giugno 2021, che vede la nostra moneta come la seconda più usata a livello internazionale dopo il dollaro.
Nonostante questi successi, l’euro tuttavia rimane, ancora oggi, un’anomalia nel panorama delle istituzioni economiche e monetarie internazionali. Si tratta infatti del più grande esempio nella storia di unione monetaria formale, a cui oltretutto corrisponde una notevole integrazione delle politiche di bilancio, senza la costituzione di una sovranità fiscale sovranazionale. Da questa incompiutezza derivano molte delle critiche che sono state poste all’euro, in particolare nel corso della crisi finanziaria scoppiata nel 2008 e che ha colpito l’Italia principalmente nel 2011 e 2012. Nel corso della crisi, infatti, gli stati membri dell’eurozona non hanno potuto fare affidamento ai tradizionali strumenti di politica monetaria e i paesi con un livello più alto di debito pubblico, anche a causa delle regole di bilancio, ulteriormente rafforzate nel corso della crisi, hanno risposto alla crisi con tagli e politiche di austerità.
Come dimostrano Lorenzo Codogno e Paul van den Noord in un articolo del 2020, se la zona euro fosse stata dotata di una capacità di bilancio comune e di eurobond, la recessione, in particolare per i paesi come l’Italia, sarebbe stata decisamente meno grave. La crisi pandemica ha visto la parziale realizzazione di questo disegno, attraverso la mobilitazione di risorse comuni per il tramite del programma Next Generation EU (NGEU), seppure in via temporanea. Come ha scritto Marco Buti, il varo di questo programma ha sancito il principio che a difficoltà comuni si risponde con strumenti comuni, superando l’approccio frammentato, intergovernativo, focalizzato sulla riduzione dei rischi e sulla sorveglianza che ha caratterizzato il periodo della crisi finanziaria.
Per guardare al futuro della nostra moneta comune occorre pertanto partire dalle lezioni apprese dalla crisi finanziaria e quella pandemica. Innanzitutto, è cruciale che i Piani nazionali di ripresa e resilienza, che costituiscono l’architrave programmatica del NGEU, siano portati a compimento e gli stati ricevano tutti i finanziamenti. Così facendo, l’idea di rendere permanente il NGEU, costruendo una vera capacità di bilancio comune, diventerà più forte.
Questa proposta deve procedere di pari passo con la riforma delle regole di bilancio, attesa entro il 2023. Come ho scritto nel libro “Europa oltre le Regole”, uscito l’anno scorso per Guida Editori, le regole del Patto di Stabilità e Crescita, che rappresentano uno strumento fondamentale dell’architettura dell’Unione economica e monetaria, vanno riformate per essere più semplici e condivise dai cittadini.
Si tratta di tappe importanti del percorso che dovrebbe portare alla nascita di una vera Unione politica, come sognavano i padri fondatori dell’Unione europea.