Questa domenica per “Le Grandi Interviste” ho avuto il piacere di dialogare con il Senatore Dario Parrini.
Il Senatore Parrini è il Presidente della Commissioni Affari Costituzionali del Senato, ma è anche un grande esperto di sistemi elettorali e un grande studioso di sistemi democratici nel mondo. E’ dunque uno degli interlocutori più autorevoli per discutere su ciò che sta avvenendo in America, nella grande democrazia americana, colpita al cuore dall’attacco al parlamento dei giorni scorsi. Buona lettura!
Ci dica la sua lettura di questa pagina nera nella storia della democrazia americana.
L’assalto armato a Capitol Hill è stato l’apice tragico di una politica di demagogia violenta e di propalazione sistematica di fake news portata avanti da Trump con incredibile e dissennata pervicacia per tutto il corso del suo mandato. La società e la politica americane hanno dimostrato di avere ancora sufficienti anticorpi e la reazione di condanna di Trump è stata larga e trasversale. Ma resta il fatto che le elezioni presidenziali ci consegnano l’immagine di un Paese in cui decine di milioni di cittadini hanno avuto fiducia in una figura contrassegnata da pulsioni antidemocratiche assai pericolose. Determinare un mutamento su questo fronte è uno dei compiti principali che Biden è chiamato ad assolvere.
Ma cosa è per lei il Trumpismo e a suo giudizio il Trumpismo può sopravvivere a Trump?
Trump a mio giudizio non avrà un futuro politico perché come tutti gli egolatri ha varcato un confine e toccato un punto di non ritorno. E il trumpismo senza Trump non può esistere. Certo però rimarrà sulla scena, anche se via via, io prevedo, con meno energia e consenso, una concezione di populismo esasperato e aggressivo che si ispirerà alle gesta di Trump. I democratici americani dovranno fare molta buona politica per prosciugare le fonti di questo sentimento socialmente distruttivo.
L’America sta vivendo un momento particolarmente difficile, direi drammatico: il Presidente Trump si rifiuta di prendere atto della vittoria di Biden, anche se tutti i suoi ricorsi sono stati respinti, aizza i suoi elettori all’insurrezione contro i presunti usurpatori, annuncia che non andrà all’insediamento di Biden, come se ne esce secondo lei?
Da Trump mi aspettavo esattamente quello che ha fatto. Lui non ha creduto per un momento di poter ribaltare nei tribunali la sconfitta subita nelle urne. Il suo obiettivo, una volta che i media avevano assegnato a Biden la vittoria sulla base di dati che poi non sono più cambiati, non è stato, a mio giudizio, rimanere alla Casa Bianca. Sapeva anche lui che la strada verso quell’obiettivo si era chiusa e una volta per tutte. Il suo obiettivo è stato un altro: avvelenare la vittoria dell’avversario, radicare nell’animo di milioni di suoi concittadini la convinzione che Biden ha vinto rubando le elezioni. Ha giocato a distruggere le basi di reciproco riconoscimento e di mutuo rispetto tra avversari che sono tra le fondamenta più importanti della democrazia americana.
E’ pensabile che il Partito repubblicano marginalizzi Trump e faccia riemergere un profilo moderato che aiuterebbe a ricostruire una convivenza politica all’insegna del rispetto e dei doveri verso le istituzioni?
Lo auspico, sarà una sfida difficile, e l’esito è incerto. Ma personalmente scommetto che il prossimo candidato repubblicano sarà meno estremista di Trump.
Ma cosa c’è che si muove nel profondo delle nostre società, umori e sentimenti di rabbia, di repulsione verso i simboli stessi delle democrazie liberali cosi come noi le abbiamo conosciute? E che alimenta i populismi di Trump ma anche di Orban o di Salvini e della Meloni…
La globalizzazione ha posto fine alla povertà estrema in aree del pianeta abitate da miliardi di persone ma contemporaneamente ha accresciuto le disuguaglianze e il senso di insicurezza e di perdita identitaria di larghe fasce sociali nel mondo occidentale. Un disagio profondo, alimentato da questa percezione di incertezza esistenziale, che le forze progressiste fautrici della democrazia liberale non sono riuscite fin qui a curare efficacemente, anche perché all’internazionalizzarsi della produzione di beni e servizi non ha fatto riscontro una altrettanto rapida internazionalizzazione delle decisioni politiche. Con la parziale eccezione dell’Europa, la politica è rimasta nazionale mentre l’economia è diventata globale. Dalla marea di angoscia reale poco sopra ricordata ha preso alimento il populismo autoritario con le sue parole d’ordine false e rozze, speculando spregiudicatamente sui problemi sociali ed economici che hanno messo alle corde i ceti medi e popolari. Il populismo ha riportato a livello di cultura di massa ripetute vittorie nel corso degli ultimi anni, anche quando politicamente magari non è riuscito a imporsi. La lotta contro il populismo è tutta ancora da vincere.
Le forze democratiche e progressiste mondiali hanno qualche domanda da farsi rispetto alla nascita e alla crescita del populismo, è possibile immaginare anche grazie alla vittoria di Biden una nuova ripartenza e un rilancio della democrazia liberale e rappresentativa e in che modo?
Biden ha promesso un impegno robusto per lanciare forme di coordinamento transcontinentale dei democratici e dei progressisti. Mi pare una questione di enorme importanza. Senza uno sforzo del genere, sinceramente e strenuamente sovranazionale, le idealità progressiste avranno poche chances di materializzarsi.
Grazie Senatore Parrini per il suo contributo che i nostri lettori sicuramente apprezzeranno. Ci prenotiamo per un prossimo colloquio sulle riforme elettorali e costituzionali in Italia, appena il clima politico si rasserenerà.