Questa settimana per “Le Grandi Interviste” ho avuto il piacere d’intervistare Alessandro De Angelis vicedirettore dell’Huffpost.
Grazie per aver accettato il nostro invito.
Alessandro De Angelis, vicedirettore Huffpost, analizziamo quel che è accaduto e lo scenario che secondo te si apre. Partiamo dalla rielezione di Mattarella. Che cosa significa dal punto di vista sistemico?
Fuori retorica: l’Italia è salva, e non è poco. Il governo anche, e non era scontato per come si era messa. Detto questo, il secondo bis in un decennio, per le modalità con cui è avvenuto, rappresenta un collasso strutturale del sistema politico, incapace di produrre soluzioni fuori dall’eccezionalità. Vedi, se fosse stato eletto per convinzione al primo scrutinio sarebbe stato un segnale di una politica capace di scegliere. E invece è arrivato per consunzione.
Dici per consunzione, cioè falliti tutti gli altri tentativi e bruciati parecchi nomi. Quanto hanno pesato i voti che sono cominciati ad arrivare dal Parlamento?
Decisivi. È stato una sorta di atto di autogestione del tanto vituperato Parlamento. Quello esposto alla delegittimazione e al pubblico ludibrio da decenni: gli stipendi, i vitalizi, gli scappati di casa. E invece il cuore pulsante della democrazia ha orientato le leadership, che si sono perse in alchimie, anche se non tutte sono uguali, e non tutte con le stesse responsabilità.
Parliamone: peggiore in campo…
Bella lotta tra Salvini e Meloni. Direi Meloni. Poteva intestarsi Draghi, guadagnandosi il vestito buono per l’Europa e per quando andrà, se ci andrà, al governo invece ha barattato il sostegno al premier con le elezioni anticipate che non poteva avere. Ha finito col rompere su Nordio.
Perché dici che è peggio di Salvini?
Per carità, è stato un disastro anche lui. Ha cercato l’asse con Conte, è andato a cercare la gente per casa. Per la serie: “Scusi, mi apre? Cerco un candidato per la presidenza della Repubblica”. Sai perché ha scelto Mattarella? Lui ha ragionato così, al momento dell’inversione a U: Casini non lo regge quel popolo di odiatori che aizzo sui social, su Draghi l’ho messa troppo alta per tornare indietro, meglio Mattarella così nella sconfitta di tutti nascondo anche la mia. Però, al netto di questo, se dimostra di essere un leader ha una seconda chance.
Non ti seguo…
La Meloni è in un ghetto identitario. Lui, a sua insaputa, ripeto a sua insaputa, ha posizionato la Lega sull’asse Draghi e Mattarella. Se non fosse subalterno ai social andrebbe a rivendicare la scelta nel Nord dove il partito del Pil ha tirato un sospiro di sollievo: stabilità, credibilità, Europa. Trasformerebbe, come diceva il grande Vittorio Foa, le traversie in opportunità. Se non lo fa lui, prima o poi la Lega troverà altri interpreti.
Vabbè, ma non c’è qualche vincitore?
Conte, per carità di patria, ha dimostrato di essere un’ameba. Tecnicamente un uomo senza principi, che si adatta a tutto. Direi: bravo Di Maio, perché è entrato in partita con una idea di paese, l’idea cioè che non si può bruciare Draghi. Più che bravo Letta. Ha giocato all’italiana, di rimessa, con i numeri risicati che aveva. E ha assecondato il contropiede del Parlamento.
Bene, tu hai parlato di collasso. I collassi hanno conseguenze devastanti però. Quali sono le conseguenze che vedi? Detta ancora più esplicita: il governo è più forte o più debole?
Le conseguenze ci sono su due piani: gli schieramenti che escono terremotati, soprattutto il centrodestra che, politicamente, non c’è più. E anche nel centro-sinistra ci sono comseguenze. Perché ora che è chiaro che Conte non è il “punto di riferimento dei progressisti europei” e che si è aperto uno scontro politico vero nei Cinque stelle, questa cosa riguarda anche il Pd e il suo sistema di alleanze. Poi c’è il governo. E tu poni la questione vera, per il paese.
L’ostilità che si è manifestata verso Draghi nel corso della partita sul Colle non può non avere strascichi.
Vero, sarà un anno durissimo. Si è capito che c’è chi voleva sbarazzarsi di una esperienza che ha subito. E poi c’è la campagna elettorale lunga un anno, che è un elemento che destabilizza. Però è anche vera un’altra cosa. E cioè che Draghi ora può tornare a fare Draghi.
Perché ha smesso?
Beh, con la sua auto-candidatura al Colle ha perso la sua posizione di terzietà diventando parte in causa. Questo lo ha indebolito costringendolo a mediare. Si è visto su parecchi provvedimenti e su una azione di governo che si è logorata. Ora può recupere la sua vera forza, cioè un’idea autonoma di interesse nazionale. Ha recuperato terzietà e libertà. E ha capito anche chi sono i suoi leali sostenitori e i suoi avversari.
Che vuoi dire?
Che è cambiata la fase. E, mentre Draghi fa Draghi, gli altri devono decidere cosa fare. C’è chi vuole andare contro, c’è chi vuole andare oltre, c’è chi vorrà costruire un’operazione politica attorno a Draghi. Ti anticipo: non evochiamo Monti. Dico che un sistema proporzionale – ormai lo abbiamo capito che le coalizioni non ci sono più – consente di preservarlo anche per il dopo. Ma è presto per questi discorsi.
Ne riparliamo, allora. Conclusioni?
Questa vicenda del Quirinale solo apparentemente è la perpetuazione dello status quo. Lo status quo in politica non esiste. In questo status quo c’è il cambiamento possibile garantito dalla conferma dell’assetto istituzionale esistente, che assicura stabilità e reputazione. Impone ai costruttori di venire fuori, dopo la settimana in cui si è rischiato il trionfo degli sfascisti.