“La storia della nostra terra” è la nuova rubrica su questo portale, una serie di articoli a cura dello storico e Avvocato Antonio V. Boccia che ci accompagna in un percorso di scoperta storica della Basilicata. Buona lettura!
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Il diciottesimo secolo si era aperto sotto cattivi auspici, per le popolazioni lucane, nella lotta tra spagnoli e austriaci per il dominio dell’antico reame di Napoli. Ma, a causa di un complesso giro dinastico e con l’arrivo di Carlo di Borbone -nel 1734- quindi dopo ben due secoli di ‘vice reame’, il regno di Napoli in maniera alquanto imprevista ritorna ad essere indipendente. La vittoria di Carlo sugli austriaci frutterà infatti l’autonomia al Mezzogiorno, mediante il capostipite della dinastia borbonica che riporta la capitale in Italia.
Finalmente, dopo duecentotrenta anni di vera sofferenza -sotto il profilo economico e sociale- arriva un periodo di tranquillità relativa: in questo contesto rinnovato innanzitutto sotto il profilo politico, rotti i legami oppressivi con la Spagna, la Basilicata -che da poco ha riacquisito Matera- non soffre, nel nuovo regno borbonico, di alcuna modifica territoriale, peraltro ciò non accade neanche nel nome dato alla ‘Provincia’ (perché così è chiamata la suddivisione amministrativa regionale). Il nuovo sovrano, che si reca in visita nel materano, trova comunque una situazione pessima: è indicativo il fatto che i comuni lucani si sono dimezzati, nel senso che rispetto a quelli esistenti nel tredicesimo secolo, ne restano solo la metà, mentre l’altra metà è man mano scomparsa, durante il mezzo secolo trascorso. Inoltre deve essere sottolineata la grande devastazione del patrimonio boschivo.
Ha comunque inizio nella -ritrovata capitale- un’epoca di rifioritura legislativa e giurisdizionale, guidata dal premier Bernardo Tanucci; e, di riflesso, anche nel campo agricolo giungono le prime auspicate riforme, con l’introduzione delle colonìe. Quindi la nostra regione, che nel passato aveva avuto una forte vocazione agricola, può vedere l’inizio di una stagione positiva: infatti, assiste ai primi lavori di prosciugamento delle paludi del metapontino.
Finalmente vengono avviati pure nuovi lavori viari, che sono finalizzati a rompere l’isolamento della regione, seppure con le enormi difficoltà del caso: per il nord viene pianificato l’ampliamento e lo sterramento dell’antica via del grano, che già giungeva a Melfi, mentre nel sud la rotabile regia viene resa carrozzabile ed arriva a Lagonegro (sul finire del secolo). Inoltre, cominciano gli scavi archeologici dell’antica Nerulum, posta nell’agro tra Castelluccio e Laino, lungo il confine calabro-lucano. Tutto questo non fa che favorire una lenta ripresa e, tra le altre cose, consente di attrarre i ‘grandi viaggiatori’ -come il Keppel Craven- anche nella nostra terra.
Il riformismo borbonico del Settecento, tuttavia, è destinato a scontrarsi con lo zoccolo duro baronale, il quale non intende assolutamente arretrare di fronte al potere centrale: sicché la riforma agricola introdotta da Ferdinando, il figlio di Carlo, non viene attuata nella pratica (e, in gran parte, rimane solo sulla carta).
Nel 1799 il periodo di pace -che è durato per sessantacinque anni- di fatto ha termine, a causa dell’invasione delle truppe francesi: la ‘Provincia di Basilicata’ viene smembrata e frazionata dal progetto legislativo rivoluzionario ‘repubblicano’ e filo-francese: ciò avviene mediante la cessione dei nuovi ‘cantoni dipartimentali’ alla Campania e alla Calabria: ma questo ‘esperimento’ durerà appena sei mesi.
Esaminiamolo nel dettaglio: con la Legge per la revisione dei territori vengono elevati a rango di cantone distrettuali le città di Avigliano e Muro, che però vengono trasferite in Campania. Mentre gli altri cantoni distrettuali di Lauria, Tursi e Castelsaraceno vengono trasferiti in Calabria. Rimane capoluogo Matera, con i seguenti cantoni: Potenza, Marsico Nuovo, Montemurro, Montepeloso, Stigliano, Pisticci. E, inoltre, Altamura, Barletta, Bisceglie, Molfetta e Trani. Come si vede, la Basilicata, chiamata ora Dipartimento del Bradano, viene ridotta come consistenza territoriale, ed è aggregata alla vicina Puglia. Ma tale effimero sconvolgimento, come detto, durerà molto poco.
Passiamo alla situazione politica interna, osservando che il materiale di archivio non è di facile reperimento, a causa delle disposizioni di indulto successive, che ordinarono la distruzione dei documenti giudiziari dei rei di stato: comunque, su centoventiquattro comuni lucani, quelle che seguono sono le composizioni delle presidenze di ‘municipalità’ che, in pratica, aderirono al progetto ‘repubblicano’ di Napoli -che all’epoca veniva retto da un direttorio filo-francese- partecipando al progetto antiborbonico:
Abriola: presidente Gaspare Florestano; Acerenza: Serafino Vosa; Albano: Vito Molfese; Avigliano: Nicola Corbo; Balvano: Nicola di Jacono; Baragiano: Nicola Mupo; Bella: Cesare Giannnini; Brindisi: Benedetto Mantulli; Calvello: Saverio Diruvo; Cancellara: Saverio Basile; Castelgrande: Antonio Cianci; Castelluccio Superiore: Francesco Catalano; Castelmezzano: Giovanni D’Amico; Castelsaraceno: Michelangelo Giocoli; Francavilla in Sinni: Giovanni Mango; Grassano: Paolo Caputo; Grottole: Gerardo Cecere; Lagonegro: Nicola Tortorella; Matera: Fabio Mazzei; Melfi: Donato Celano; Miglionico: Vito Michele Grande; Moliterno: Vincenzo Parisi; Montalbano: Luca Quinto; Montepeloso: Giacomo Amati; Muro: Giovanni Martuscelli; Oppido: Canio Caronna; Palazzo S.Gervasio: Giuseppe D’Errico; Pescopagano: Giuseppe Peloso; Picerno: Saverio Carelli; Pietrafesa: Andrea Abbamonte; Pietragalla: Gennaro Settanni; Pisticci: Giovanni D’Onofrio; Pomarico: Alessio De Primi; Potenza: Domenico Vignola; Ripacandida: Tommaso Mazzacchera; Rocca Imperiale: Domenico Vitale; Rotonda: Gerardo De Rinaldis; Rotondella: Gaetano Mandio; Ruoti: Gerardo Pisanti; Salandra: Ignazio Flocca; San Chirico Nuovo: Andrea Pistone; San Fele: Filippo De Cillis; San Martino D’Agri: Francesco Manzone; Sant’Andrea di Conza: Lorenzo Iannicelli; Spinazzola: Felice D’Agostino; Spinoso: Francesco Marchisani; Stigliano: Nicola Correale; Tito: Scipione Cafarelli; Tolve: Gennaro Giorgio; Trivigno: Nicola Sassano; Vaglio: Matteo D’Anza; Viggiano: Domenico Pisano.
C’è da aggiungere che alcune di queste nuove istituzioni municipali rappresentarono, nella realtà dei fatti, non altro che ‘municipalità fantoccio’, giacché rette da personaggi che erano legati alla Corona; e, d’altro canto, che repubblicani convinti, come il celebre giurista lucano Francesco Mario Pagano, eccessivamente compromesso, con il ritorno dell’ordine costituito venne invece giustiziato a Napoli, mediante impiccagione.
Infine possiamo rilevare che -ancora una volta- fu la città di Potenza a mostrare un volto truce e violento, con l’eccidio del vescovo Serao, la cui testa venne conficcata su un palo e portata in giro lungo la città per un’intera giornata: evento sanguinoso che, di fatto, chiudeva mestamente le vicende del secolo qui esaminato.