Poche parole per introdurre la mia rubrica “Basilicata. La storia, la politica, il suo popolo”.
Ritengo che la conoscenza sia una grande risorsa, come anche un’ottima opportunità di crescita, e sono convinta che entrare nelle radici profonde di un territorio, specialmente in quelle del proprio territorio, sia un’esperienza che richiede tempo, sacrificio e dedizione per crescere con consapevolezza.
E’ un po’ come ricostruire l’albero genealogico della propria famiglia perché, in fondo, la Basilicata è una grande famiglia.
La mia rubrica rappresenta il mio impegno per i lettori lucani e non, per questo mi auguro che siate invogliati a leggere le storie che vi propongo con la stessa forza che mi caratterizza e mi induce a divulgare quanto più possibile la bellezza delle radici a cui appartengo. Raccoglierò le testimonianze di quanti hanno concorso a realizzare il quadro politico e la storia della Basilicata, utilizzando al meglio le potenzialità del territorio.
Buona lettura!
Rosita Stella Brienza
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Un piccolo trattato di politica lucana illustra periodi e ambienti di partito che hanno consentito la presenza in Parlamento di uomini impegnati a migliorare le condizioni socio economiche dei lucani. La Democrazia Cristiana, nel racconto di Pasquale Lamorte, è stata capace di esprimere in Basilicata la forza di una classe dirigente non improvvisata, esperta conoscitrice della realtà e, soprattutto, in piena sintonia per risolvere i problemi della comunità.
La sua esperienza a servizio della Basilicata è maturata attraverso un percorso formativo che le ha consentito di entrare gradualmente sulla scena politica lucana.
La mia adesione alla Democrazia Cristiana risale al 1965, da semplice simpatizzante, in quanto non ero ancora maggiorenne, partecipando alle prime riunioni nella sezione di Rionero in Vulture.
Risultò molto proficuo il rapporto con il professor Enzo Cervellino, uomo di cultura e leader del partito che godeva di grande stima e consensi. Fu lui ad avvicinarmi alla DC e a offrirmi la possibilità di partecipare a corsi di formazione sia in Basilicata che fuori regione.
Come considera la sua esperienza formativa rispetto ai corsi che frequentava?
Tornai da questi appuntamenti formativi molto motivato e la mia partecipazione alle attività del Movimento Giovanile divenne costante. Ho ricoperto prima l’incarico di responsabile sezionale dell’Organizzazione, successivamente quello zonale nel Vulture e, dopo un animato congresso nel 1971, mi fu affidata la guida del Movimento a livello provinciale, quindi quella regionale.
Quando si candida per la prima volta?
Nello stesso 1971 fui candidato alle elezioni comunali a Rionero in Vulture, eletto con un buon successo. Ho quindi svolto le funzioni di capo gruppo in Consiglio e, per un breve periodo anche di assessore comunale. Questa esperienza mi ha consentito di prendere contatto con i problemi della comunità e al contempo di conoscere i meccanismi amministrativi. E’ stata la mia gavetta, oggi del tutto sconosciuta agli attuali dirigenti politici.
Immagino che la politica portasse via tempo prezioso alla sua formazione accademica. Ci sono state sollecitazioni a terminare gli studi?
L’impegno politico, comunque non mi ha totalmente distratto da quelli universitari, grazie anche alle forti sollecitazioni avute in tal senso sia da Cervellino che da Emilio Colombo, conosciuto in quegli anni. Infatti, nel 1972 ho conseguito la laurea in filosofia presso l’Università di Bari.
Quali sono stati i momenti salienti della sua formazione politica e come ha contribuito con il suo impegno allo sviluppo e alla crescita del territorio lucano?
Come si vede il primo impegno politico coincide con il tumultuoso periodo delle contestazioni giovanili – studentesche vissute in prima linea e con forte riferimento ai principi e ai valori di ispirazione cattolica.
Nel Congresso provinciale della Democrazia Cristiana del 1974, candidato per la lista dei sostenitori dell’On. Colombo sono risultato primo degli eletti fra i componenti del Comitato e, nel 1975, nell’imminenza delle elezioni amministrative e regionali, fui eletto Segretario provinciale, uno dei più giovani d’Italia. Nel 1976 vi furono le elezioni politiche, in un momento non facile per la DC, e il Segretario nazionale Zaccagnini promosse un’azione di rinnovamento del partito e delle liste elettorali. Mi ritrovai, improvvisamente, catapultato nella competizione elettorale quale candidato alla Camera dei deputati per la circoscrizione di Potenza e Matera, incoraggiato da Emilio Colombo e appoggiato da gruppo dirigente che si era venuto formando negli ultimi anni tra le fila del Movimento giovanile.
Dopo una campagna elettorale difficile e faticosa, dal risultato incerto, risultai eletto a soli 27 anni. Confermato per cinque legislature fino al 1992, quando, a seguito del drammatico periodo di Tangentopoli, sciolta la DC (1994) benché estraneo alle numerose indagini giudiziarie in corso, decisi autonomamente di concludere la mia esperienza parlamentare.
Un’esperienza lunga, non priva di soddisfazioni, che mi ha visto eletto nel direttivo del Gruppo parlamentare DC, e nel Consiglio nazionale del partito. In quest’ultima funzione, il Segretario nazionale Piccoli mi affidò la delega per i Rapporti con le organizzazioni economiche.
Nel 1983, con il Governo Craxi, sono stato nominato Sottosegretario agli Interventi straordinari nel Mezzogiorno e, successivamente, nel Governo Fanfani, Sottosegretario all’Industria. Erano gli anni del post terremoto del 1980, e la partecipazione al governo nazionale mi ha consentito di seguire da vicino tutta la legislazione a favore delle popolazioni colpite dall’evento tellurico, compresa l’istituzione dell’Università della Basilicata, e di promuovere molte iniziative con gli amministratori locali e i responsabili regionali.
Finita l’esperienza governativa, ho seguito i lavori della X Commissione parlamentare Trasporti e Telecomunicazioni, prima come Vice Presidente (1987) e, nell’ultima legislatura, eletto Presidente della stessa (1992).
Con la caduta della Prima Repubblica lo scenario politico lucano è cambiato. Cosa rimpiange di quegli anni?
La caduta della Prima Repubblica ha modificato totalmente lo scenario, sia a livello regionale che nazionale. A partire dal 1994 si è aperta una fase, cosiddetta di transizione, che ancora oggi non sembra esaurita, in quanto il sistema politico permane in mezzo al guado.
Rimpiango la scomparsa della Politica con la p maiuscola. Mi riferisco alle organizzazioni politiche di massa presenti capillarmente sul territorio, con alto grado di partecipazione di militanti ed elettori.
Come delinea la struttura dei partiti di quel periodo?
Ogni partito aveva una sua filiera e una squadra al servizio della propria comunità. Una classe dirigente accomunata da una visione della società, convergente su alcuni valori, da cui traeva ispirazione per impostare lo sviluppo del territorio in modo armonico e diffuso.
Cosa rimane oggi di quello che è stato?
Oggi è tutto “autoreferenzialità”, sia dei dirigenti che dei programmi. Ciò ha fatto precipitare la Basilicata in un immobilismo, e talvolta in un regresso preoccupante, dovuto alla incapacità di utilizzare proficuamente le notevoli risorse finanziarie disponibili, da cui scaturisce anche il fenomeno dello spopolamento demografico, soprattutto di giovani cervelli.
E’ questa la maggiore preoccupazione, che serpeggia chiaramente nella nostra regione, e genera sfiducia nelle Istituzioni democratiche, in verità non sempre immuni da fenomeni negativi, registrati nell’ultimo ventennio.
La Basilicata, dal dopoguerra fino agli anni Ottanta, ha potuto contare su una classe dirigente di primissimo livello, sia a livello locale (dal 1970 anche con l’istituzione della Regione) che parlamentare, peraltro sempre ben raccordata e armonizzata, che ha reso possibile un periodo di sviluppo indiscutibile. Dall’altra parte la stessa Regione, per stabilità di governo e capacità propositiva veniva spesso additata a livello nazionale come un modello di buon governo.
Sul piano politico, quali personaggi hanno tentato l’impossibile per realizzare cambiamenti e migliorare le condizioni economiche e sociali in Basilicata?
La nostra Regione, come ho appena affermato, ha potuto contare su una classe dirigente di tutto rispetto, non solo con riferimento agli uomini espressi dalla Democrazia Cristiana, in verità.
Una classe dirigente sperimentata prima di tutto nelle amministrazioni locali e proveniente, prevalentemente, da una formazione cattolica.
La rappresentanza parlamentare nel corso degli anni ha sempre mostrato grande impegno e assiduità nei rapporti con l’elettorato, espressione dei vari territori.
Due leaders, a mio parere, meritano una segnalazione particolare.
Vincenzo Verrastro ed Emilio Colombo sono stati apprezzati per la loro capacità di comprendere le aspettative dei lucani, per la conoscenza dei problemi, per la capacità di programmare interventi e per la destrezza realizzativa.
Parlo di due uomini, l’uno in sede regionale nella qualità di Presidente della Provincia di Potenza, prima, e della Regione, poi; l’altro a livello nazionale e internazionale, più volte Ministro, Presidente del Consiglio e del Parlamento europeo, che hanno rappresentato la Basilicata per un lungo arco di tempo. Al di sopra di tutto, hanno mostrato capacità di lavorare in forma collegiale, facendo crescere intorno a sé dirigenti di partito intraprendenti e amministratori capaci ed efficaci.
Da dirigente di partito della DC, quali sono le parole più corrette per descrivere le incredibili capacità di Emilio Colombo e Vincenzo Verrastro?
Ho personalmente sperimentato, da dirigente di partito e da Segretario provinciale della DC, questa loro straordinaria capacità di generare consenso e collaborazione.
In modo particolare, ho potuto apprezzare la disponibilità mostrata dall’On. Colombo ad assecondare ogni disegno di rinnovamento che veniva reclamato dalle nuove generazioni e dalle aree più periferiche della Basilicata. Segnalo, inoltre, la sua visione unitaria della regione con impegno costante, quasi ossessivo, a tenere in armonia le due province lucane, che recentemente si è molto affievolito. Fuori da questo contesto non sarebbe stato facile per me e per altri giovani dirigenti affacciarsi all’esperienza politico istituzionale, nel mio caso specifico alla lunga vita parlamentare.
Colombo è stato per molte generazioni un riferimento politico costante e una guida per l’intera regione, cui ha trasmesso il valore della politica come servizio alla comunità e al partito.
Non per diffondere scoramento, ma come valuta il livello della politica dei tempi attuali (in cui i social hanno soppiantato il modello “romantico” della comunicazione politica, quello classico, fatto di piccoli gesti come: attaccare i manifesti, aprire e chiudere le sezioni, il tesseramento)?
La politica, cosiddetta “liquida”, attualmente praticata è esattamente il risultato di una fase successiva al 1994, prima con l’affacciarsi dei partiti padronali, vedi Forza Italia di Berlusconi e successivamente con i partiti populisti e dell’antipolitica, vedi il Movimento 5 Stelle di Grillo.
Ambedue le esperienze hanno bruciato la nobile tradizione dei partiti di massa affermatisi con la nascita della Repubblica, fatta di partiti partecipati e regolati da statuti, che rendevano gli stessi contendibili, attraverso congressi democratici.
Qual è il risultato ottenuto dallo stravolgimento e, probabilmente, dal totale capovolgimento del modello politico tradizionale?
I partiti del leaderismo precostituito e immodificabile, appunto detti padronali, hanno finito per aumentare la distanza tra cittadini e istituzioni, rendendo di fatto il sistema democratico monco.
Il movimento grillino ha generato un’ondata di “antipolitica” poggiata sullo slogan dell’”uno vale uno”, che ha finito per distruggere modelli di buon governo, alimentando odio sociale e avversione verso supposte caste. In questo periodo, tramite modifiche e stravolgimenti della legge elettorale, si è passati dai parlamentari eletti, e perciò fortemente radicati sul territorio di elezione, ai parlamentari cooptati dalle segreterie dei partiti, a danno della loro rappresentatività.
La politica ne è risultata stravolta, vittima di una demagogia sconvolgente, che non si è rivelata in grado di assicurare al Paese crescita e sviluppo, né ha recuperato fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Ha ipotizzato persino la “decrescita felice”, arenatasi clamorosamente su un risultato fallimentare e divisivo, nonché appannaggio di una nuova casta, questa sì, che ha finito per mandare in frantumi lo stesso Movimento, come si è visto recentemente a conclusione del governo giallo-rosso.
Cosa serve oggi alla Basilicata per superare le emergenze e costruire un futuro migliore…
Alla Basilicata servirebbe davvero un colpo d’ala per uscire dal torpore economico e sociale nel quale sembra precipitata. Ovviamente ogni programma è condizionato dai protagonisti chiamato ad attuarlo. In questo momento, in verità, la nostra regione dovrebbe poter contare su una squadra molto larga di amministratori che, dagli enti locali alla massima istituzione regionale, in perfetta sintonia, dovrebbe farsi carico di elaborare proposte, progetti di sviluppo che, qualora attuati celermente, siano in grado di bloccare prima, e invertire, poi, il preoccupante fenomeno dello spopolamento. Nell’attuale fase di pandemia, ancora acuta, del resto è difficile immaginare una possibile e veloce inversione di tendenza in tempi ravvicinati, considerato poi che molte carenze non sono di oggi, ma vengono da lontano.
Certo non è facile mettere in campo un programma di utilizzo sia di risorse economiche regionali, penso a un “uso produttivo” delle royalty del petrolio, sia di risorse di provenienza nazionale ed europea, da concentrare su pochi, grandi progetti in grado di portare fuori dalle secche e dall’isolamento la Basilicata.
Quindi se dovesse fare un concentrato di pragmatismo politico, come sintetizzerebbe…
Occorrerebbe una “regia” concertativa autorevole, suffragata da vasti consensi politici e sociali, sia a livello regionale che nazionale, che in questo momento stento a intravedere. Eppure questo era il punto di forza dei governi del dopoguerra a guida democristiana che hanno dato prova, insieme a validi amministratori locali, di grande capacità programmatoria, nonché alta rappresentatività istituzionale. Ciò consentiva di trovare interlocuzioni attente e disponibili nei vari livelli decisionali a Potenza, come a Roma. Era la forza di una classe dirigente non improvvisata, frutto di studio e conoscenze della realtà economico-sociale. In piena sintonia fra di essa e con i territori.
Tutto ciò non si inventa dalla sera alla mattina, certamente, ma mi sento di additarlo come un obiettivo cui puntare da parte di chi oggi ricopre, o vorrà ricoprire nel futuro, responsabilità amministrative e politico-istituzionali.